Nel settore dei materiali da costruzione, in cui rientrano tipologie di impianti produttivi anche molto diverse tra loro, il quadro di insieme è accomunato da aziende caratterizzate da un forte impatto ambientale le cui peculiarità produttive, nell’ultimo secolo, sono rimaste sostanzialmente immutate.
Tra loro anche i cementifici dove, a partire dall’estrazione della materia prima (dalla sua frantumazione e omogeneizzazione passando dall’essiccazione e macinazione), la miscela di lavorazione che ne deriva viene sottoposta a una cottura a elevatissime temperature finalizzata a dare vita a un minerale artificiale noto come clincker da cemento.
Prima di arrivare al processo di cottura, il carbonato di calcio e le argille contenenti notevoli percentuali di silicato di alluminio e ferro (entrambi molto diffusi nelle zone montuose), vengono generalmente estratti da cave a cielo aperto. Ognuno con sistemi diversi, a seconda della durezza, i materiali ottenuti in cava vanno poi frantumati accuratamente per ottenere un prodotto omogeneo da avviare a ulteriori trattamenti.
All’interno di questo contesto, pur interessato alla flessibilità finalizzata a utilizzare anche macchine diverse per eseguire le medesime operazioni e al rispetto dei tempi di consegna, chi realizza un impianto per un cementificio non ha come priorità né l’efficienza energetica, né il Condition Monitoring.
Dunque, per chi è chiamato a definire i dettagli tecnici di un progetto di cementificio (generalmente situato nei pressi della cava o a essa collegato tramite moderni sistemi di trasporto), difficilmente l’attenzione alle condizioni ambientali derivante dall’operare in un contesto estremamente aggressivo sarà al primo posto nell’elenco delle priorità.
Con questi presupposti, l’esigenza numero uno all’interno di un cementificio è “fare di più con meno” dotandosi di un unico componente con diversi range di potenza sia per il trasporto di piccole pietre, sia per movimentare massi di dimensione maggiore.
Nella medesima ottica, chi definisce i dettagli tecnici di un progetto di cementificio tende a utilizzare il medesimo motore anche per una frantumatrice, così da ridurre il numero dei ricambi e dei costi complessivi. In questo caso, però, la ricerca della massima flessibilità non dovrebbe mai andare a discapito dell’efficienza dei riduttori industriali e dei nastri trasportatori.
Alla scoperta di un’efficienza (energetica) possibile
Ciò detto, in un cementificio il concetto di efficienza non risponde tanto a un mandato energetico, quanto alla capacità di un impianto di rispettare i tempi concordati e di realizzare con gli stessi componenti configurazioni flessibili, in base alle richieste d’uso.
Potenza, affidabilità e flessibilità sono, dunque, le principali esigenze che i clienti di questo specifico settore chiedono di soddisfare. Ma che cosa accade se agli stessi interlocutori viene proposto un nuovo tipo di efficienza capace di tradursi in risparmio energetico, riduzione dei costi operativi e diverse migliaia di euro risparmiate ogni anno?
Esistono in commercio riduttori meccatronici in grado di muovere nastri trasportatori a una velocità controllata automaticamente per garantire anche a diversi flussi di volume di arrivare al punto di consegna con un livello costante di riempimento del nastro.
Controllati elettronicamente, i riduttori industriali in questione consentono di combinare tra loro e in rete, in un unico sistema autonomo, sia i componenti sia l’elettronica di comando decentralizzata, mentre la tecnologia combinata dei sistemi di gestione permette di monitorare le condizioni del convertitore di frequenza ma anche quel che accade durante il processo di trasporto.
Al contrario di un funzionamento continuo S1, ossia a velocità costante da sempre in uso nel settore, gli operatori dei cementifici possono impostare una velocità del nastro trasportatore (a piastre, tazze o a catene raschianti) a seconda delle specifiche necessità riducendo il consumo di energia e, con esso, le emissioni di anidride carbonica.