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Change management: i nuovi ruoli dell'industria 4.0

Scritto da SEW-EURODRIVE | 13 mar 2019

L’Industry 4.0 sta rivoluzionando i processi manifatturieri - operativi e strategici -, portando l’intelligenza digitale dentro e fuori la fabbrica, sulle linee produttive e negli snodi logistici, lungo tutta la catena dell’offerta. Di conseguenza, si richiede alle aziende una capacità spiccata di change management: le professioni legate al comparto industriale infatti si evolvono progressivamente sulla spinta dell’innovazione tecnologica, lasciando emergere la necessità sia di acquisire nuove figure sia di aggiornare le competenze esistenti.

Ma quali sono i protagonisti e le skills dello Smart Manufacturing?

 

Le aree di competenza 4.0

Secondo il Politecnico di Milano, l’indagine deve partire identificando le cinque aree aziendali maggiormente impattate dalla trasformazione 4.0, ovvero: Operations cioè tutte le attività di produzione e assemblaggio; Supply Chain con l’implementazione di reti collaborative e piattaforme Cloud per il miglioramento del servizio al cliente; Product-Service Development per l’innovazione del portafoglio d’offerta; integrazione IT-OT tra soluzioni di Information e Operational Technology; Industrial Data Science per estrarre valore dalle informazioni provenienti dai dispositivi IoT, sistemi Crm e Erp, social media e web. Per ogni area sono state conteggiate oltre 100 competenze, che sono riconducibili a diverse figure professionali.

Senza addentrarsi nella dissertazione accademica, si possono isolare le skills principali su cui fare leva e concentrare gli sforzi di update: competenze in ambito data management e analytics; capacità di modellazione e simulazione; utilizzo di piattaforme software per la supply chain; conoscenza dei protocolli di comunicazione; applicazione delle logiche di lean manufacturing; cybersecurity; manutenzione predittiva; organizzazione del lavoro e delle relazioni uomo-macchina; innovazione di prodotto in ottica smart.

 

I professionisti dello Smart Manufacturing

Sul fronte delle figure professionali più rilevanti per l’Industry 4.0, invece, può aiutare a fare luce uno studio condotto da Assolombarda e Università di Milano Bicocca-Crisp che identifica tre filoni principali, ovvero: i professionisti per il trattamento e l’analisi dei dati; gli esperti nella progettazione di applicazioni associate ai nuovi media e ai social network; gli specialisti dell’automazione per i processi produttivi e logistici.

Il report sottolinea che nel nuovo modello di fabbrica intelligente è il patrimonio informativo la vera e inestimabile fonte di valore per le aziende, quindi la capacità di gestire, processare e interpretare i dati deve essere un fattore comune a tutte le moderne professioni.

Dal punto di vista più tecnico, l’Industry 4.0 stimola la necessità di nuove professioni legate alla robotica, alle nano e biotecnologie, alla stampa 3D, mentre a livello marketing fa aumentare la richiesta per gli specialisti della comunicazione digitale come i copywriter, gli esperti SEO, gli analisti dei social media, i community manager. A questo proposito, non bisogna dimenticare che il processo di servitizzazione, ovvero l’associazione degli smart products ad applicazioni mobile e servizi digitali, fa crescere l’importanza degli specialisti nella costruzione della brand identity, nella gestione delle partnership e nell’innovazione dell’offerta.

 

Formazione inadeguata

Qualunque sia il ramo di specializzazione, è chiaro comunque che occorrono precisi percorsi formativi per costruire le nuove professionalità richieste dall’Industria 4.0. Tuttavia, sembra che l’attuale livello medio di istruzione non sia in grado di soddisfare la domanda. Le stime della Commissione europea dichiarano infatti che entro il 2020 si creeranno 500-700 mila posti di lavoro per i professionisti in ambito ICT e Industry 4.0. Ad oggi soltanto una minima parte dei lavoratori in UE (pari al 3,6%) ha una specializzazione tecnologica, ma ciò che  preoccupa ulteriormente è il basso livello di informatizzazione generale (appena il 56% degli europei ha competenze digitali di base). È evidente che serve una disruption anche sul piano dell’istruzione e della formazione: con la tecnologia lanciata costantemente all’inseguimento dell’innovazione e del progresso, le persone devono vivere in un contesto di apprendimento e aggiornamento continuo delle competenze, sui banchi di scuola e sul campo di applicazione. Le aziende devono quindi dimostrare doti di change management e la capacità di impegnarsi nei confronti del loro patrimonio più grande: le risorse umane.